Interviste

Alice Corbetta: un’arte che si ispira alla bellezza della natura

Alice Corbetta è un’artigiana-artista e maestra decoratrice nata a Milano, ma vive e lavora a Montespertoli, in provincia di Firenze, cittadina circondata dalle dolci colline della Toscana.
È specializzata in decorazione contemporanea di interni e nella creazione di mobili e complementi d’arredo. Alice interviene direttamente sulle superfici impiegando una gran varietà di tecniche decorative e materiali, soprattutto cemento e resina, per ottenere texture uniche e originali.
Il suo lavoro ha il valore aggiunto dell’unicità sartoriale, e la sua firma è inconfondibile: un’arte basata su una ricerca continua e sulla sua personale sensibilità artistica.

Qual è stato il tuo percorso e come hai iniziato a svolgere questo mestiere?
Dopo gli studi artistici compiuti all’Accademia di Brera a Milano, ho collaborato come designer con alcuni studi di texile design nel territorio comasco, e poi con rinomati studi di architettura.
Sono state esperienze bellissime, ma avvertivo l’esigenza di “sporcarmi le mani” e di avere un rapporto diretto con la materia. La scelta di cambiare vita e il trasferimento in Toscana sono state l’inizio della mia trasformazione in una “maker”, e sono state le opportunità per concentrarmi sulla ricerca che mi ha condotto fino a oggi.

Quali sono gli stili, le tecniche e materiali che prediligi?
Utilizzo materiali cementizi e inerti, come calce e sabbia, e alcuni derivati della resina.
Per le finiture uso principalmente argille naturali quali il bolo nero d’Armenia, foglie metalliche, pigmenti e terre naturali, talvolta inserisco la carta giapponese; ma c’è anche improvvisazione e sperimentazione nelle varie fasi di lavorazione.
Le finiture delle patine sono realizzate con cere e pigmenti, proprio come avviene nelle tecniche del restauro. Altrimenti, se la superficie deve essere impermeabilizzata, ritengo che un film di poliuretano sia la soluzione più adatta. Prediligo un effetto “non finito”, materico e sensoriale.
Prediligo in particolare la tecnica dell’imprinting: stampo sulla materia fresca una matrice, ad esempio un tessuto, una garza o una foglia, in modo che sulla superficie rimanga memoria di questi elementi.
Per le dorature e le metallizzazioni impiego le tecniche antiche che utilizzavano i maestri toscani del 1300 per creare i fondi oro dei trittici, e il bolo d’Armenia a seconda del colore dell’applicazione, per esaltare la foglia d’oro o d’argento che andrà ad accogliere. Altre tecniche invece derivano dalla sperimentazione personale, e quindi il mio lavoro diviene un atto creativo, legato all’ispirazione del momento.

Qual è la tua principale fonte di ispirazione?
La natura! Per questo ho scelto di vivere in un luogo dove posso godere della bellezza del paesaggio.
La particolarità del mio lavoro è nella ricerca, che porto avanti attraverso un’attenta osservazione del territorio e del mutare delle cose: questo essere presente nella realtà che mi circonda è fonte d’ispirazione per realizzare rivestimenti artistici vibranti alla luce, piacevoli al tatto ed esteticamente raffinati.

C’è qualche artista o maestro artigiano che apprezzi particolarmente?
Alberto Burri, Jannis Kounellis e Heide Bucher. Ciascuno di questi artisti è stato protagonista delle innovazioni fondamentali dell’arte internazionale e, seppur nella loro diversità, hanno segnato nuovi e fondamentali sentieri di ricerca visiva. Sono quindi la “materia” e il “gesto”, l’ “impronta” e il “segno”, che caratterizzano il loro linguaggio espressivo, e al tempo stesso rendono visibili le tracce di un itinerario artistico.
Heide Bucher è meno nota rispetto ai suoi colleghi sopra citati. Lei isola lo spazio per poi renderlo scultura del vuoto, una scultura che si ricava una volta che la “pelle” (la superficie con cui lavora) è distaccata. L’azione dell’artista emana un senso di libertà, nel distaccare con la sua forza questa pellicola sottile, che prende in parte anche i colori del muro da cui viene tolta.
Le sue opere sono come vestiti dell’architettura, come una coperta che copre la pelle del corpo: questi diventano dimensione allargata ed espansa; la superficie diventa architettura morbida, è come se ne cadesse la struttura, per diventare un’architettura fluida.
Una volta che quel tessuto viene tolto come una pelle, l’artista se ne ricopre come si fa con una coperta.

Ad oggi com’è organizzata la tua attività? Hai dei collaboratori che ti assistono nel lavoro?
Abitualmente svolgo in autonomia il lavoro nel mio laboratorio a Montespertoli, oppure realizzando in loco le mie superfici.
Nel caso di commessioni per progetti importanti, mi sono avvalsa in passato di giovani collaboratori laureati all’Accademia di Belle Arti, che desideravano apprendere la tecnica e che erano appassionati delle mie creazioni.
L’esperienza è stata molto positiva per l’entusiasmo che trasmettono i giovani quando desiderano apprendere, un arricchimento anche dal punto di vista umano.

Come si coniuga tradizione e innovazione nel tuo lavoro?
La mia cifra stilistica è data dalla contaminazione fra tradizione e contemporaneità, che si fondono nelle superfici che realizzo: trasformo la crudezza e l’essenzialità del cemento e della calce in texture a rilievo, con ricami dal sapore vintage; le trame affiorano in superficie rendendo ogni manufatto unico.
Da questo contrasto nascono armonia e delicatezza poetica, che si esprimono liberamente nello spazio abitato.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
In collaborazione con una designer e un’architetta stiamo sviluppando un concept di lampade e una collezione di mobili cabinet, che saranno contemporaneamente opere d’arte e complementi d’arredo. Quindi la luce è il prossimo passo…