Opinioni

C’è artigianato, e artigianato

Da quello che si limita ad assemblare manufatti a quello che coniuga tecnologia e design cercando di creare un nuovo modello produttivo. Oggi questo settore è di gran moda ma nasconde profonde differenze culturali al suo interno.

Grazie alle tante esperienze di ricerca, di progetto e di animazione all’interno dei vari territori italiani che ho attraversato rintracciando l’artigianato artistico, ho potuto constatare le profonde differenze culturali, produttive e d’impresa che condizionano questo settore, un tempo ignorato e disprezzato, oggi di gran moda. Proverò di seguito a fare un’analisi dei vari tipi di artigianato artistico diffusi sul territorio italiano sottolineando alcune distinzioni.

La prima categoria, piuttosto diffusa nell’Italia delle piccole-medie imprese, è quella di un artigianato artistico legato alla produzione di un’azienda che utilizza quindi maestranze esterne come realizzatori di parti di manufatto «da assemblare». Sono, questi artigiani, i più esposti al rischio di disoccupazione in questi anni di crisi: essendo terzisti senza capacità d’impresa, sono spesso costretti a chiudere il loro laboratorio in assenza di commesse da parte delle imprese vere e proprie.

Ci sono poi gli artigiani che lavorano su progetto: artigiani colti e abili che ancora oggi realizzano pezzi su misura per conto di progettisti impegnati in particolari arredamenti di abitazioni, musei, spazi collettivi. Questi artigiani conservano una buona capacità lavorativa tradizionale e la applicano a progetti contemporanei e spesso sperimentali. Numerosi sono ancora coloro che lavorano all’interno della tradizione: sono artigiani che operano nelle aree produttive omogenee (a Volterra con l’alabastro, a Caltagirone con la ceramica, a Ravenna con il mosaico, a Cantù con il pizzo… per fare qualche esempio). Fra questi è bene fare alcune distinzioni: ci sono artigiani che si discostano dai modelli del passato, realizzando oggetti «minori» per soddisfare un mercato di souvenir di basso livello per il turismo di massa, e altri che invece li percorrono in modo filologicamente corretto. All’interno di questa ultima area si possono elencare due modelli di produzione e quindi d’impresa: artigiani che nella tradizione cercano di rinnovarsi con un linguaggio proprio (come ad esempio gli artisti ceramisti Bruno Gambone, Alessio Tasca, Candido Fior) e artigiani che si rendono disponibili a realizzare opere su progetto di artisti e designer nel rispetto della tradizione rinnovata.

Recentemente si sono aggiunte altre categorie di artigiani, come quelli «metropolitani», che realizzano oggetti con un’alta componente di artisticità con tecniche innovative, tendenzialmente usando materiali di recupero e quindi al di fuori dell’area di tradizione. Ancora più recenti sono le applicazioni indagate dalle giovani generazioni che utilizzano tecnologie avanzate per produrre una sorta di design artistico/sintetico. Spesso hanno una buona preparazione progettuale (si sono formati all’interno delle università) ma mancano totalmente di conoscenze manuali e quindi suppliscono alla carenza della cultura del fare con l’uso di strumentazioni (ad esempio le sempre più diffuse stampanti 3D) in grado di formare l’oggetto progettato.

L’ultima categoria è quella di designer/artigiani che cercano di realizzare veri e propri laboratori capaci di coniugare l’aspetto manuale con quello tecnologico-virtuale. È una formula, quest’ultima, senz’altro più evoluta e che risponde anche alle condizioni in cui recentemente il giovane progettista/artigiano si trova a operare: affrontare la crisi occupazionale cercando di recuperare il più difficile rapporto di partecipazione e collaborazione con le aziende del settore, creando un nuovo modello produttivo e commerciale.

Mestieri d'Arte n.11, Arts & Crafts & Design n.6
http://mestieridarte.it/mda/