Interviste

Vittorio Bruno e BAM-Bottega Artigiana Metalli

Una tradizionale realtà contemporanea, tra artigianato e design

Vittorio Bruno, vincitore del premio MAM 2016, è una figura peculiare, in grado di coniugare sapientemente la tradizione artigiana ereditata dal padre con l’innovazione contemporanea del design, della progettazione d’interni e dello studio della luce. Lavora con il padre e suo fratello a Nuoro nella bottega di famiglia, BAM Design, dando vita a progetti modernissimi nei quali si rispecchia l’amore per la manualità e l’apertura alla cultura del progetto.

Cos’è BAM e come nasce questo progetto?
Ho fondato BAM-Bottega Artigiana Metalli insieme a mio fratello e a mio padre, che ha portato avanti così il lavoro iniziato da suo nonno nell’Ottocento. Siamo specializzati da sempre nella lavorazione dei metalli (come l’acciaio, il ferro, il rame e l’ottone), ma il metallo non è solo un elemento strutturale: viene rivisitato e riscoperto nei suoi aspetti materici e tattili.

BAM è fatta da designer che si sporcano le mani e da artigiani che le mani le fanno pensare. È un progetto innovativo di artigianato contemporaneo, che sfugge alle tradizionali definizioni riferite all’arte, all’artigianato e al design.
Negli anni BAM si è aperta alla contaminazione con altri materiali, che ne rappresentano comunque l’identità e ne condividono il linguaggio: legno e sughero, ceramica, tessuti, fibre, pelletteria, vetro. Si è instaurato così un dialogo aperto con altri progettisti, artisti e artigiani del nostro territorio sardo.

E tu come ti definiresti?
Mi sento designer e artigiano.
Ho un bellissimo rapporto con il mio territorio. Qui è un posto fantastico, amo la nostra natura con i suoi monti, il mare, e tutto ciò che ci vive e ne fa parte. Amo la nostra cultura e le nostre tradizioni, i nostri vestiti, la nostra lingua, la nostra musica e il nostro cibo.

Quale è stato il tuo percorso?
Sono nato nel 1977 a Nuoro e sono cresciuto tra la scuola e la bottega di famiglia. L’università mi ha portato poi a Milano, dove ho conseguito la Laurea triennale in Disegno Industriale al Politecnico e, successivamente, mi sono specializzo in illuminotecnica. Dopo alcune esperienze in Portogallo e a Bologna, sono tornato in Sardegna nella bottega di mio padre.

Cosa ti ha riportato a casa, nella bottega di famiglia?
Essere figli di un artigiano porta inevitabilmente a respirare l’aria della bottega, a rapportarsi con gli strumenti del mestiere e a carpirne le tecniche. Col tempo e grazie alla scelta del percorso di studi nel settore del design è maturata poi la consapevolezza che la quotidianità della bottega poteva essere il punto di partenza per un nuovo cammino: l’artigianato poteva e doveva fondersi con il design, ma in maniera naturale, rispettando l’anima della bottega.

Qual è la tua fonte di ispirazione?
Sono molteplici: tra le più forti c’è la cultura, il paesaggio e il micromondo in cui vivo, che chiaramente ha su tutto una forte influenza. Cerco sempre di spingere il mio sguardo lontano, e di avere una visione ampia di ciò che mi circonda, anche in contrapposizione all’insularità e al senso di chiusura propri di una terra circondata dal mare, una reazione che mi porta a guardare oltre il Mediterraneo.
Anche il mondo del design ha un ruolo importante: guardare il lavoro di grandi maestri, di altri artigiani o designer è sempre stimolante, anche per cercare di capire in che direzione si vuole andare e quale percorso si sia intrapreso.
La condivisione di diversi percorsi progettuali è uno dei concetti che sta alla base della nostra filosofia, a cui teniamo particolarmente. Siamo una bottega aperta, accettiamo e ricerchiamo continuamente contaminazioni culturali, dialogo, confronto e interazione: crediamo sia il modo migliore per crescere ed elevare la qualità del lavoro di ognuno.

Come nascono i vostri progetti?
Non c’è un processo standard: ogni volta è diverso.
A volte si parte da uno schizzo, da un segno su un foglio bianco, o da qualche linea sullo schermo del computer: si prova a definire, calcolare, simulare, si immaginano le finiture e si valutano le proporzioni. Poi c’è sempre il passaggio in officina, dove il confronto tra materia, tecniche e incognite definisce il progetto.
A volte invece il processo è completamente inverso, parte al contrario, in officina: da una lavorazione sbagliata, da un effetto non voluto o dall’intuizione di qualcosa mentre si ha il materiale tra le mani, mentre si prova a creare.
Nel processo creativo il pensiero progettuale e la ricerca di un possibile equilibrio tra forma e funzione sono sempre presenti, come una guida alla base di tutti i lavori.

Qual è l’opera più originale che avete realizzato?
Il BOE.
Nasce da un’intuizione e dalla volontà di fondere insieme campanaccio e animale. Il suono che il BOE emette è un suono che ci appartiene. Chi viene in Sardegna, da lontano, e si porta un BOE a casa, dopo mesi può scuotere forte il campanaccio: chiudendo gli occhi si ritroverà di nuovo con la mente in qualche stradina di campagna della nostra isola.

Oggi vediamo sempre più giovani che si approcciano al design e meno alla manualità, tipica del mestiere. Crede che ci siano ragazzi che vogliano “sporcarsi” le mani, avvicinandosi al suo lavoro?
Credo proprio di sì. Ma credo anche che manchino delle strutture o delle scuole dove poter far conoscere l’artigianalità contemporanea, proporre una riscoperta della manualità e insegnare i metodi del design. Una realtà in cui non solo giovani ragazzi, ma anche chi è già designer possa trovare una giusta dimensione per crescere e imparare a confrontarsi con varie tecniche e materiali.
Non bisogna avere paura di sporcarsi o di essere stanchi fisicamente. Credo che la percezione della fatica sia strettamente collegata a quanto ti piace il lavoro che fai: più sei appassionato e coinvolto, più ami il tuo lavoro, meno ti sentirai stanco e la fatica sarà più facilmente alleviata.