Davide Furno e l’arte della cera, tra magia e iperrealismo

Davide Furno è un vero maestro della cera.
Recuperando una tecnica antica e del tutto dimenticata, è stato il primo in Italia a dare nuova vita e dignità alla ceroplastica: una disciplina che, con l’ausilio di cere, resine naturali, gessi e polveri, dà vita a fiori e frutta che sa combinare in composizioni straordinarie. Con questa lavorazione, e grazie a ricette segrete apprese durante anni di studio, ricerca sperimentazione, è in grado creare veri capolavori di natura morta, raffinati e iperrealistici, che sanno rendere magico e poetico ogni ambiente.

Qual è stato il tuo percorso e come hai iniziato a svolgere questo mestiere?
Non sono stato proprio uno studente modello, ma per la storia dell’arte, il disegno tecnico, l’ornato, ho sempre fatto eccezione.
Poi, dopo la maturità scientifica e il diploma allo IED, ho lavorato diversi anni come grafico e illustratore, sperimentando con il disegno e con diverse tecniche di decorazione, come la doratura, il trompe l’oeil e il finto marmo, tra le altre.
È stato durante questa fase di ricerca instancabile che mi sono imbattuto in maniera del tutto casuale – e non poteva essere altrimenti, dato che all’epoca era una lavorazione sconosciuta – nella ceroplastica, e in particolare nella collezione di frutti in cera di Francesco Garnier Valletti, praticamente dimenticata sugli scaffali della facoltà di agraria dell’Università di Torino: centinaia di frutti in cera di una bellezza mozzafiato, realizzati in una tecnica considerata oramai perduta per sempre.
Ho la fortuna di ricordare molto bene il momento in cui mi sono innamorato di ciò che sarebbe diventato il lavoro della mia vita. Anche se poi, in effetti, per diventare un lavoro, ci sarebbero voluti ancora molti anni, passati tra ricerca di ricette e materiali, fiere e mercatini, fallimenti e riprese.

Le tue opere sono dei veri capolavori di natura morta. Quanto tempo e quanta pratica ci sono voluti per arrivare a questo risultato?
In effetti non è semplice calcolare i tempi e la pratica necessaria, in quanto entrambi hanno dei confini molto fumosi e confusi. Essendo una tecnica dismessa e dimenticata, non ho avuto nessuno che mi insegnasse e che mi facesse da maestro. I risultati che ho ottenuto sono frutto di poche ricette ritrovate, appunti rari o antichi manuali, tanta sperimentazione da autodidatta, che continua tutt’ora. Posso dire con precisione quando ho iniziato a lavorare la cera, ma la preparazione dei gessi, lo studio dei colori e la loro preparazione, la pratica con le resine, materiali inerti e colle, è iniziata già molti anni prima senza che mi rendessi conto che stavo accumulando esperienza e conoscenze che sarebbero state fondamentali nello sviluppo della ceroplastica.
Per rispondere alla domanda, direi che dall’entusiastica fusione della mia prima mela, in effetti più simile a un tubero bruciacchiato, a ottenere un frutto riconoscibile con la ricetta corretta di Garnier Valletti, ci sono voluti alcuni anni, spesso più che altro per sperimentare e confermare l’esattezza del procedimento. Da lì in poi, si è trattato soprattutto di migliorare continuamente le mie opere e il risultato estetico, ma credo che questa sia l’inclinazione naturale di qualunque artigiano.