Dal 1935 esiste a Firenze una bottega orafa specializzata nella lavorazione dell’argento che si è gradualmente affermata come una vera accademia di questo mestiere. Il fondatore Carlo Foglia prima, il figlio Giuliano poi e, da molti anni ormai, il nipote Lorenzo, hanno contribuito a scrivere la storia recente dell’arte argentaria, creando oggetti straordinari e formando cesellatori che hanno portato il loro saper fare non solo in città ma anche in diverse parti del mondo.
Oggi, le opere di Lorenzo Foglia, nominato MAM – Maestro d’Arte e Mestiere nel 2018, sono il frutto maturo di una padronanza assoluta delle tecniche tradizionali, di una vasta cultura storica e di una libertà espressiva che, come accadeva nelle migliori botteghe rinascimentali, proiettano le sue sculture e l’argenteria tutta verso lo status di arte maggiore. Nelle sue parole, tutta la consapevolezza e la passione di un artigiano che guarda a Cellini e Leonardo come numi tutelari.
Maestro, ci racconta come la sua storia ebbe inizio?
Tutto iniziò da mio nonno Carlo, nato nel 1910, che non era toscano ma lombardo di Erba. Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, decise di trasferirsi e di aprire la sua prima bottega orafa a Firenze, che riteneva – più ancora di Parigi – il fulcro della tradizione di questo mestiere. A mio nonno si affiancò mio padre Giuliano, e poi arrivai io, che già a 14 anni decisi di abbandonare gli studi e di entrare in bottega per disegnare, cesellare, battere il metallo. Per me era il gioco più bello del mondo! Se poi sono tornato a studiare, al liceo prima e all’università poi, l’ho fatto per guardare il mestiere con un occhio più distaccato, e comprendere in primis me stesso.
La sua formazione così pratica e precoce costituì un limite o un’arma in più?
Sebbene interamente parentale – direi made in Foglia – la mia formazione non mancò affatto di spessore teorico, anzi era come un’accademia. Mio nonno, che conobbi per pochi anni, e mio padre, mi trasmisero l’enorme importanza delle basi da affiancare alla pratica, e nella bottega si formarono in quegli anni davvero gran parte dei cesellatori fiorentini. Io non ho mai affrontato una scultura senza aver prima studiato lo sviluppo teorico, le proporzioni. Ho avuto però l’enorme vantaggio di vivere appieno la bottega, un’insostituibile scuola della dimensione della realtà, che non solo permette un continuo confronto ma consente anche di rubare, con gli occhi, i segreti del mestiere.

A livello stilistico, qual è il contributo della bottega Foglia all’arte argentiera?
Il nonno ha portato a Firenze uno stile baroccheggiante, fatto di sbalzi possenti che erano estranei alla tradizione fiorentina, più precisa e delicata ma anche più cervellotica, almeno nella lavorazione dell’argento. La potenza del barocco era, invece, di tradizione lombarda. Io ho sempre cercato di apprendere il più possibile e di acquisire la massima maestria tecnica, nella consapevolezza che la formazione non crea artisti ma bravi artigiani, così come il conservatorio non forma necessariamente grandi musicisti ma bravi insegnanti di musica. La tecnica è un punto di partenza, padroneggiarla è un portale per potersi esprimere liberamente.
E quale direzione ha preso la sua creatività?
Nei primi anni Duemila il settore degli argentieri era in crisi. Le famiglie facoltose, naturali destinatarie di lavorazioni con i metalli preziosi, non erano più interessate a riproduzioni di servizi barocchi, che avevano già in casa da generazioni. Si è dato il via a produzioni di massa che hanno banalizzato l’argento, insostenibili anche dal punto di vista ambientale. Acquistare un oggetto in argento dovrebbe essere come andare dal salumiere, scegliere il prodotto migliore e farselo affettare su misura. Non ci dovrebbero essere le monoporzioni confezionate in plastica! È un lusso, e come tale nasce dal desiderio, non dalla necessità. Io ho deciso di fare un salto nel vuoto, cominciando a disegnare in modo del tutto libero, svincolato da limiti stilistici e tecnici. Ho evitato di lasciare che la mia esperienza vincolasse la mia creatività, inducendomi a scegliere determinate soluzioni solo perché sapevo che erano quelle codificate dalla prospettiva del saper fare. Mi sono liberato dalla funzione, dedicandomi alla scultura, cercando di creare oggetti di cui ci si potesse innamorare, e ponendomi solo in seconda battuta il problema di come poterli realizzare.


Qual è la sua visione del rapporto tra artigiano e artista?
L’artigiano opera nell’ambito della sua formazione, il mestiere è la componente più accademica. Per evolvere bisogna violare certi stilemi, portare un elemento di novità. È la componente artistica che si fa carico di queste violazioni, o variazioni, che poi magari saranno a loro volta codificate rientrando così nell’ambito dell’artigianato. È il passaggio da arte minore ad arte maggiore, quello che hanno compiuto geni come Benvenuto Cellini, nella scultura, o Leonardo nella pittura. Il Rinascimento è nato proprio nelle botteghe orafe fiorentine, dove ricchi committenti affidavano ad artisti di fiducia i materiali preziosi necessari per realizzare qualcosa di nuovo e straordinario.
Lei collabora con designer, con grandi aziende. Le piace lasciarsi contaminare?
Sì, bisogna rompere gli equilibri canonici, accademici. Alcune aziende si rivolgono a me per arricchire la rappresentazione troppo meccanica di un loro oggetto, inventare un dettaglio che interrompa la serialità, una pseudo-perfezione che tale non è. Il mercato si stanca dell’automatismo, vuole l’irregolarità che crei la perfezione. L’umanità non è essere o non essere, zero o uno, come in un codice binario, essa è tutto quello che c’è in mezzo. Una macchina farebbe statue tutte uguali, mentre l’identità nasce dalla somma delle imperfezioni.
Da anni lei è passato dalla parte di chi insegna. Le piace trasmettere il suo saper fare ai giovani?
Non si è Maestri se non ci sono allievi. È una crescita comune, perché quando insegni scopri la realtà con gli occhi di chi apprende, che è come un bambino che scopre il mondo. È una responsabilità, perché quello che insegni diventerà per l’allievo come un assioma. Devi cercare di trovare le risposte dentro di te, e trasmetterle con la dovuta delicatezza. Avendo formato anche molti stranieri che vengono a Firenze, ho figli d’arte ovunque nel mondo, ed è emozionante trovare nel loro lavoro i segni di quel che ho insegnato.
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